London che passione….

Londra, finalmente.

Anni e anni dopo la mia ultima visita (peraltro ci sono stata solo due volte) eccomi di nuovo qui.

Il primo impatto, a dire la verità, non è esaltante: a causa di un disguido con l’agenzia ci hanno lasciate all’aeroporto, all’una e mezzo di notte, a circa 45 chilometri di distanza dal college che ci attende. Ma ecco che la città comincia a mostrarci la sua organizzazione. Grazie ad alcune indicazioni del tutor che nel frattempo sta portando i ragazzi al sicuro, a quelle di Google Maps che funziona perfettamente e in maniera ultraprecisa, alla puntualità di tutti gli autobus che via via prendiamo riusciamo in un paio d’ore a raggiungere la nostra meta. La comodità del pagare contactless sugli autobus aggiunge un altro tassello a questo quadro.

Nei giorni successivi questa impressione di efficienza non si smentisce: fitta rete di autobus che girano a tutte le ore, metropolitana strapiena (specie quella diretta all’aeroporto di Heathrow) ma comunque rapida. Forse un po’ troppo calda, un po’ di condizionamento non guasterebbe.

Nota dolente: il wifi c’è dappertutto ma non sempre è  possibile collegarsi; i telefoni non sempre hanno linea, specialmente nei luoghi chiusi. Siamo stati in un grande shopping center al cui interno era impossibile telefonare: grande disagio, essendo noi con ragazzi che hanno la tendenza a perdersi. Nè internet, né telefono, per noi italiani una tragedia. I londinesi non sembrano essere così cellulare dipendenti come noi: difficile vedere qualcuno girellare con il telefono in mano, a tutt’oggi non ho visto nessuno GUIDARE con il telefono attaccato all’orecchio, negli autobus è più facile vedere qualcuno dormire che spippolare su un android o IPhone che dir si voglia.

La qualità e quantità di persone è incredibile. Un punto comune a tutte le donne: praticamente nessuna indossa scarpe con il tacco. La necessità di percorrere ogni giorno grandi distanze, sia in superficie che all’interno delle metropolitane, fa desistere, penso, anche le più incallite dall’utilizzare scarpe scomode.

In generale, gli uomini in completo grigio sono molti, e indossano scarpe meravigliose (viste molte più belle scarpe da uomo che da donna). Hanno sostituito la ventiquattrore con un più comodo zainetto, fashion e più pratico e comodo da portare.

Non ho visto molta eleganza in giro: tanto abbigliamento pratico, anche curato, a volte molto particolare con quello che definiamo tipico gusto inglese (accozzaglie di colori e fogge, difficile dare una descrizione accurata….).

Molta eleganza, incredibilmente, nelle donne con il burka. Perché dico eleganza, dato che il burka è nero e copre tutto? Perché c’è nero e nero e tessuto e tessuto…. E queste donne arabe, nella maggioranza dei casi bellissime e curatissime nel volto (unica cosa del corpo che si riesce a vedere) hanno portamento e eleganza. Almeno quella parte che, evidentemente, ha denari a sufficienza da spendere. E non sono pochi, a giudicare da quanto abbiamo visto da Harrods.

Harrods: centro del lusso, dell’ostentazione. All’interno degli stand più “blasonati” solo arabi. Che escono senza buste perché qualcuno gliele recapita direttamente a casa.
Nella zona limitrofa diversi Shisha Caffè, pasticcerie e ristoranti prettamente arabi e frequentati solo da arabi.

Parecchi burka integrali in giro.

Due parole sul modo di mangiare.
Molto diffuse una serie di catene di cibo da asporto, anche se in molti di questi locali si può mangiare anche all’interno. I piatti sono un ricordo lontano: contenitori in carta o altro materiale riciclabile, bicchieri in carta, le tazzine di ceramica sono date solo in rarissimi casi…. e quasi tutte agli italiani!!!
Cucina internazionale ad ogni angolo di strada: cinese, giapponese, messicana, etiope, vietnamese (non è un errore la chiamano così), italiana, poche le esperienze francesi, che si limitano alla pasticceria… nei pub alcuni piatti tipici inglesi.
In diversi mercatini questi “street food” coesistono dando origine ad un insieme di colori e profumi che inebriano e fanno venir voglia di prendere un assaggio da ciascun contenitore.
Abbiamo visto diversi “fish&chips” e qualche volta nei pub pubblicizzato un qualche piatto più “inglese” (agnello sopratutto, ma anche maiale). A questo giro non siamo riusciti ad assaggiarli, ci ripromettiamo di farlo alla prossima occasione!

La città è un fermento di lavori stradali, gru e costruzioni di grattacieli. Lo skiline è destinato a cambiare nel giro di poco tempo, e in parte i cambiamenti sono già molto evidenti. Il Big Ben era tutto impacchettato, come altri monumenti limitrofi. Nella zona della City mi hanno però anche detto che un intero grattacielo sarà lasciato libero nell’arco di pochi mesi, per delocalizzazione dell’attività ad altro paese. Quindi anche qui l’incognita del “rimarrà vuoto” è all’ordine del giorno.

Ho avuto modo di parlare con una persona che si è informata sull’opportunità di aprire un’attività qui in Inghilterra. E’ effettivamente possibile con un solo pound di capitale versato, vale il silenzio assenso e non ci sono particolari formalità burocratiche. Le tasse sono proporzionali al guadagno ma senza ulteriori aggiunte. Insomma rispetto all’Italia, che fra permessi e permessini fa perdere il capo, il paese del Bengodi. Una nota dolente è rappresentata da Brexit, che al momento non è chiaro quali effetti produrrà rispetto alla localizzazione della propria attività in Gran Bretagna. Spostamento di capitali? in entrata o uscita? Staremo a vedere.

Tappe d’obbligo alla National Gallery, alla Tate, da Madam Tussauds, al Museo delle Scienze che consiglio vivissimamente, al Museo Navale di Greenwich…
La Tate mi ha un po’ deluso, mi aspettavo qualcosa di più, ma tenendo conto che il mio standard sono il Museo di Arte Moderna e il Museo Novecento probabilmente sono un po’ starata.
Nota di plauso per il Museo delle Scienze, dove ho passato un paio d’ore piacevolissime fra filmati interattivi, simulazione di terremoti, riprese di onde anomale con gli effetti sulle città. Sarà che geologia al liceo è stata una delle mie materie preferite, il Museo riesce comunque a coniugare l’antico (studio della terra) con l’attuale (terremoti, inondazioni, eruzioni vulcaniche….).
Qualche perplessità sull’organizzazione interna dei Musei, che non consente un percorso lineare ma costringe a zig-zag strani che rischiano di far perdere alcune sale e quindi parecchie opere esposte. Se c’è una logica a me è sfuggita, di sicuro non è esplicitata facilitando il percorso a chi voglia, con una passeggiata, godersi tutto il museo pur soffermandosi sulle opere di maggior interesse.

A proposito di logica: qualcuno dovrebbe spiegarmi perché gli inglesi tengono la sinistra sulla strada, ma poi pretendono che sulle scale mobili ci si accosti a destra per far passare le persone che hanno fretta…. queste sono le piccole cose che mi fanno perplimere e chiedere “perché?”. Mi sarei aspettata coerenza…. 🙂