Mi ritrovo a sperimentare un progressivo senso di insofferenza, impotenza, frustrazione.
Tutto questo non per situazioni personali ma perchè “assorbo” quello che viene dall’esterno, dal mondo che mi circonda, dagli atteggiamenti che vedo, dai segnali che si fanno sempre più precisi e inquietanti. Faccio fatica ad accettare che le persone possano parcheggiare dove vogliono solo perchè gli fa comodo. Che possano occupare posti per disabili senza nessuno scrupolo di coscienza. Che inveiscano sui social contro le persone che considerano “diverse”, per un motivo o per l’altro. Trovo irritante che si pensi, si parli e si agisca per idee preconcette, senza nessuno sforzo di ascolto, riflessione, figuriamoci se di empatia (che parola è questa?). Trovo molto, molto difficile pensare solo in bianco e nero: questo modo di vedere le cose è più che accettabile in ragazzi adolescenti, che devono misurarsi con il mondo e scoprire la loro idea di giusto e sbagliato, ma profondamente e incredibilmente infantile in persone adulte, che dovrebbero essere state smussate dalla vita, dal confronto con gli altri, che dovrebbero, appunto, “essere cresciute”. Ho letto da qualche parte una riflessione sul fatto che la nostra adolescenza è ed è stata prolungata all’infinito; siamo tenuti (e ci facciamo tenere) in uno stato di infantilismo senza fine, in cui il principio dell’Io è l’unico che conta, tutto il resto è fuffa.
L’egoismo che dilaga è sconfortante; ma più di tutto mi rattrista il non mettersi in discussione, la completa impermeabilità al mondo esterno, fatto anche da persone che ci vogliono bene.
Nei giorni scorsi ho condiviso queste riflessioni con i soci della mia Associazione, a seguito di alcuni episodi di intolleranza che avevo riscontrato nel nostro gruppo whatsapp:
“Nessuno di noi ha il diritto di giudicare, specialmente nel gruppo, l’esperienza che un altro sta facendo. Non conosciamo le situazioni personali, ambientali, strutturali, di contesto che sono le uniche che possono aiutare a capire ed eventualmente aiutare/consigliare la persona che sta facendo quella scelta.
Nel gruppo ci sono persone di credi diversi, idee politiche diverse, formazione diversa, esperienze di vita diversa. Siamo diversi. Quello che ci accumuna è avere un figlio/a con una specifica patologia e il desiderio di trovare per lui/lei la migliore delle strade possibili per aiutarlo/a a sviluppare al meglio tutte le sue capacità, superare per quanto possibile i suoi limiti e in definitiva vivere al meglio la sua vita, nel pieno rispetto della sua individualità.
Io credo che ciascuno di noi debba sviluppare un profondo rispetto nei confronti degli altri. Rispetto delle scelte, delle posizioni, delle idee.
Il ruolo dell'”Associazione”, in tutto questo, è di supportare, con l’organizzazione di momenti di incontro e confronto con esperti sulle tematiche più “scottanti” o urgenti, la riflessione sulle possibili strade da percorrere. Non siamo censori di nessuno, non combattiamo battaglie ideologiche. Siamo aperti a qualunque possibilità, se si dovesse rivelare di aiuto ai nostri figli. Proprio perchè le singole specificità traggono beneficio da percorsi diversi“.
E, in un’altra mail ad un socio, ho scritto anche:
“Il mio mondo è fatto delle mille sfumature dell’arcobaleno. E’ un mondo in cui ciascuno fa le sue scelte e viene rispettato per questo, senza giudizi nè pregiudizi. “
Per questo comincio ad essere insofferente. Perchè in quello che mi circonda non vedo più il tendere verso uno “stare bene” come collettività, ma un voler “star bene” come singoli senza tenere conto della complessità delle interrelazioni e delle necessità umane.
E poi mi interrogo sul come io posso, nel mio piccolo, da goccia nel mare dell’insegnamento di Madre Teresa di Calcutta, fare cose che possano in qualche modo cambiare la corrente, dimostrare che qualcosa di diverso c’è e si può realizzare.
E’ una grande sfida, che implica anche un venire in qualche modo allo scoperto, non sentirsi sicura nelle quattro mura di casa ma diventare parte attiva di un cambiamento che considero sempre più necessario.
Qualche anno fa è sorto il movimento “Se non ora quando”, da donne per donne: secondo me va allargato a tutti coloro che pensano che un mondo migliore possa essere costruito, a tutti coloro che non sanno come fare ma capiscono che qualcosa va cambiato, prima che l’odio ci sommerga tutti trascinandoci ancora una volta in spirali perverse di violenza e sofferenze.