Costruzione di un percorso

In questi giorni Davide ha iniziato il Servizio Civile. Nei giorni precedenti la firma del contratto era un po’ agitato, questa cosa di andare a firmare, dover essere puntuale pena la cancellazione del percorso, gli dava un po’ di ansia. 

La prima mattina doveva arrivare alle 9:30, quindi tutto sommato ok, niente levatacce mattutine. Alle 8:00 era in tranvia, per un percorso di 40/50 minuti (tranvia più un pezzo a piedi, in una zona della città che non conosce). Al rientro, più tardi la sera, ha confessato di essere arrivato solo alle 9:20 perchè si era perso. “Ma non ti preoccupare mamma, ho chiesto, mi hanno dato indicazioni, sono arrivato in tempo”. Chissà come si è preoccupato e agitato, ma era già tutto dimenticato, perchè in qualche modo se l’era cavata, era arrivato e anche in tempo.

Il percorso prevede anche l’abilitazione all’HACCP, quindi una due giorni a Pisa, con partenza alle 7:38 dalla stazione di SMN. Il primo giorno di questi due…. ha lasciato a casa il telefono. Mi ha chiamato sul numero di casa (quello che si ricorda) dal cellulare di un suo compagno di percorso. Per prima cosa mi ha chiesto di sincerarmi se il suo telefono fosse davvero a casa o non l’avesse invece perso da qualche parte. Rassicurato su questo, ha detto che prima o poi sarebbe tornato.
Mi ha chiamata dal treno del ritorno, per avere istruzioni su dove andare, dato che io sarei stata fuori. E, come da copione, è arrivato in stazione, ha preso la tranvia, è andato a farsi coccolare dalla nonna e poi è uscito per andare dai suoi amici, sempre rigorosamente senza telefono….

Ecco, tutte queste cose che possono sembrare quasi banali, per Davide sono una IMMENSA conquista. 20 anni fa nessuno avrebbe scommesso su questo. Davide che fa un esame di maturità, che inizia un percorso di Servizio Civile, che ci va da solo, che rispetta gli orari, che prende un treno (sia pure con altre persone – per fortuna) e rientra, se la cava senza telefono, se la cava se si perde…. ma chi ci avrebbe mai scommesso sia pure un centesimo di euro? Noi, a dire la verità, non sapevamo cosa aspettarci, quindi tutto sommato non sappiamo neanche dire se rientra nelle nostre aspettative oppure no. Davide è Davide.

Poi ripenso a come siamo arrivati fin qui.

Ai progetti di autonomia sviluppati con l’Associazione: uno fra i tanti quello sull’orientamento e la risoluzione dei problemi di “smarrimento”. Grazie a Stefano per il percorso fatto insieme, ma anche alla Coop Il Girasole per quello successivo.
Alle riunioni con educatori, terapisti, insegnanti, per far comprendere che non era tanto il “fare le cose” che Davide doveva imparare, ma come arrivare a farle.
All’esperienza scout, che lo ha arricchito oltremisura, grazie anche alle tante persone sensibili che ha incontrato in quel contesto. Marco, fra tutti, che non ha mai dimenticato una sola volta di invitarlo alle feste.
Alle volte che dalla scuola è tornato a casa della nonna da solo (alle medie).
Agli educatori bravissimi che ha incontrato sul suo percorso. E anche a quelli di cui francamente avremmo anche fatto volentieri a meno.
Alle insegnanti brave e a quelle che mi consideravano una mamma che non aveva fiducia in suo figlio, quando mettevo in evidenza i suoi limiti. Ma io lo facevo per chiarire cosa dovevamo andare a supportare e come avremmo potuto aiutarlo al meglio (una di queste mi ha chiesto scusa, al terzo anno con Davide. Mi ha dato persino ragione. Dopo tre anni. Spero l’esperienza le sia servita per i successivi sostegni che è andata a dare).
Alle ore passate con lui sugli autobus per andare ai Canottieri, per spiegargli il percorso prima di farglielo fare da solo.
Alle ore (e soldi!!!) spesi dallo psicoterapeuta per dargli fiducia in se stesso e renderlo consapevole dei suoi limiti.
Alle ore passate sui libri di studio, ad imparare non solo nozioni ma metodi, con il supporto delle educatrici, che tutti i giorni venivano a farlo studiare ed erano più di casa dei parenti. Le “cosine”, come le chiamava mia mamma (“a che ora vengono le cosine?” – è passato alla storia). Giulia, Matteo, Elena, Sara, Luisa….
A tutte le volte che Vincenzo l’ha accompagnato in discoteca ed è andato a riprenderlo, alle 2:30 di notte, senza sapere con chi era e che faceva, ma fidandosi di lui e della sua capacità di stare lì solo per divertirsi e non per altro.
A tutte le volte che ha attraversato la strada e io avrei solo voluto urlare “stai attento!!” perchè lo vedevo andare senza guardare.

Ai momenti in cui abbiamo deciso di “lasciarlo andare”, anche se forse non era pronto, anche se non era il momento, anche se …. ma abbiamo messo a tacere le nostre preoccupazioni di genitori e gli abbiamo dato dignità di persona.

Ai momenti in cui abbiamo anche dovuto dire di no, perché quello che chiedeva era davvero troppo.

A tutte le volte che si impuntava perché non voleva fare le cose, e gliele abbiamo fatte fare lo stesso.

Alle discussioni infinite che abbiamo avuto, perché quando dice di imputarsi si impunta davvero e non sente nè capisce ragioni. E quindi i discorsi si ripetevano e si ripetono sempre uguali all’infinito, con le stesse motivazioni da ambo le parti, ma senza che nessuno dei due abbia mai lasciato il campo.

Alle volte in cui mi sono sentita mamma kapò. Alle altre in cui mi sono sentita sfinita e pensavo di non farcela più. A volte lo penso ancora anche adesso.

Alle volte in cui lui si è sentito incompreso. E a volte ha anche pianto. L’adolescenza è difficile per tutti.

Alle volte in cui era davvero stanco, e mi chiedevo se non stessimo chiedendogli troppo. Ma non ci siamo fermati. Magari abbiamo rallentato un pochino, per dargli il tempo di riprendersi. Ma mantenendo la barra del timone diritta verso un orizzonte che chissà mai se riusciremo a raggiungere, ma non importa, perchè a noi piace navigare.

A tutte le esperienze in cui l’abbiamo buttato: basket, sci, tennis, wu-shu, scout, vela, pattinaggio, boxe, canottaggio, Giffoni Film Festival, interviste, testimonianze….
Ai viaggi che ha fatto, con noi e senza. Al primo viaggio in treno da solo, con altri amici SW, per andare in Campania.
Alla birra che gli abbiamo fatto bere a casa, perchè l’alcool non è da demonizzare, ma va bevuto con moderazione.
A quella volta che ha provato a fumare, si è sciacquato la bocca ma appena tornato a casa me l’ha detto di getto.

A tutte le volte che abbiamo discusso sulle idee dei suoi amici, diciamo parecchio di destra, che ci piacciono il giusto dal punto di vista politico, ma che alla fine lo trattano bene e l’hanno accolto come un fratello minore da proteggere. Ma hanno lo stesso idee un po’ diverse dalle nostre, quindi a tavola se ne parla e discute, poi ognuno la pensa come vuole.

A tutte le volte che le sue sorelle lo trattano esattamente come un fratello, niente di più e niente di meno, tanto che a volte mi tocca ricordargli che qualche limite ce l’ha…

A tutte le volte che, di fronte a qualcosa di troppo grande, l’ho guardato e gli ho detto “Davide, suvvia, ricordami un po’, che cosa hai tu?” e lui “ok, va bene, ho capito, ho la sindrome di Williams… ho qualche difficoltà in più”.
E a tutte le volte che gli ho detto “Ok, hai la Sindrome di Williams, ma non sei mica scemo, sai? quindi piantala di fare la lagna e datti da fare”.

Sono passati 19 anni da quando ci hanno “raccontato”, come favoletta, la sua Sindrome. Anche a distanza di anni, penso che quelle dottoresse avessero un grande bisogno di un corso accellerato di empatia e strategia della comunicazione delle diagnosi. Mi ricordo che uscendo dal colloquio ci siamo detti che non avevano capito nulla delle nostre domande, che erano sostanzialmente “cosa possiamo fare per aiutare nostro figlio a superare, per quanto possibile, i suoi limiti, e nel caso in cui non possa, per farlo vivere comunque sereno?”. Mi ricorderò finchè vivrò che mi hanno risposto che non c’era da fare nulla di particolare.

Quanto vi sbagliavate. Quanto avremmo reso la vita di nostro figlio difficile se ci fossimo limitati al “vivi e lascia vivere”. Se ci fossimo convinti che sarebbe bastato stargli vicino e lasciarlo crescere. I nostri figli hanno bisogno di tutto il nostro aiuto, ma sopratutto dell’aiuto di una serie di professionisti esperti che possano aiutarli a mettere in atto le strategie alternative che li portano a fare le cose quotidiane. Non imparano da soli, non imparano per imitazione. Hanno bisogno di tutti i supporti che possiamo dargli. Poi, ciascuno di loro ha le sue capacità, le sue inclinazioni, le sue preferenze, i suoi personali limiti. Le differenze fra una persona e l’altra sono a volte abissali, tanto da far dubitare di parlare della stessa Sindrome.
Ma in tutti i casi guai arrendersi, guai abbassare la guardia, guai perdere di vista quell’orizzonte lontano che deve essere la nostra stella polare in ogni azione che facciamo. Rispettando, in tutto questo, i tempi dei nostri figli, le loro aspirazioni, le loro aspettative, rispettando insomma il loro essere “persone” e aver diritto, ogni tanto, anche a un po’ di sano svago senza secondi fini….

Adesso riprendo le vesti della Kapò e vado a fare qualche strillo, che non guasta mai. Domani c’è da essere a lavoro alle 7:30, non c’è da scherzare….