Leggo che cambiano le regole per chiedere il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità.
Da adesso, pare, si potrà lavorare fino alla sala parto per “serbare” i giorni spettanti per il periodo post partum.
Ora, io a suo tempo, per la mia terza gravidanza, ho lavorato fino all’ottavo mese. Ero part time, lavoravo tre giorni alla settimana per un tempo parziale, potevo permettermi di stare qualche ora in ufficio seduta a fare atti di matrimonio, nascita e morte senza che la panciona pesasse troppo.
Ma chi ha pensato questa “novità” non è mai stato/a incinta. La pancia enorme, il senso di oppressione, la difficoltà di digestione, le difficoltà di movimento: portavo solo pantofole perchè non mi vedevo più i piedi e non riuscivo certo ad allacciare i sandali se non con manovre degne di una contorsionista, rese goffe da quel metro cubo di pancia che mi portavo in giro e che si girava solo a spinta se volevo cambiare posizione nel letto….
Sena pensare alla necessità di prepararsi, fisicamente e psicologicamente, a quello che sarà un cambiamento epocale nella propria vita di donna, specialmente se si tratta del primo (e spesso ultimo) bambino.
Ok, andiamo avanti così, privilegiamo il “produrre cose” al “produrre esseri umani”, diamo la precedenza al dover fare (un lavoro) piuttosto che all’essere (madri), facciamo credere di dare un’opportunità invece di togliere un diritto.
Perchè, parliamoci chiaro, qui non si è detto di aumentare i mesi di congedo obbligatorio da cinque a sei: si sposta l’asticella da una parte all’altra, costringendo a scegliere fra privilegiare un dopo o concedersi un prima, necessario non si sa quanto per potersi preparare ad essere mamma o a raddoppiare la sfida (e qualche volta a triplicarla e oltre).
A volte mi chiedo se come donne siamo ancora consapevoli di quanto sulla nostra pelle si stia giocando. A volte vedo donne tacciare altro di “femminismo” con un senso di schifo e dando a che vedere che si tratti di una cosa superata e passata di moda.
Se così è, voglio rivendicare il mio essere donna, il mio essere femminile e il mio essere “femminista” quando questo va a salvaguardare salute, ben-essere e qualità di vita della Donna e delle donne.
Non prendiamoci per i fondelli: l’essere mamma sarebbe un lavoro a tempo pieno con necessità di tutela; la legge sulla maternità aveva un senso preciso quando è stata promulgata e senza una riflessione seria cambiare le regole significa solo star dietro a logiche che con la salute e il benessere niente hanno a che vedere.
Eppure dovremmo essere interessati ai cittadini del futuro….