Un pezzo di vita che se ne va

Un altro pezzo della mia vita si è chiuso ieri.

Come sempre, quando una vita si spegne, si fa memoria per conservare dentro il cuore i ricordi più belli, quelli che appaiono per primi nella mente, quelli per i quali la persona rimarrà per sempre accanto a noi, anche se fisicamente non c’è più.

E allora si comincia con il salto della corda.

Ero bambina o poco più, e chi è che saltava fra le due (due!!!) corde che facevamo vorticare una a destra e una a sinistra? La zia Assuntina, la zia fuori dalle righe, quella che si confondeva con noi ragazzi quando facevamo le nostre scorribande a giro per i boschi e i cortili. Era quasi lei che ci dava il via, forse per il rimpianto della sua, di giovinezza, che sicuramente non era mai stata così spensierata.

La zia che accompagnavo ai lavatoi (quelli davanti al Donnini, quando ancora c’erano prima che li asfaltassero, con le tettoie e l’acqua che correva, diaccia marmata), che tornava a casa con le mani blu dal freddo dopo aver sbattuto le lenzuola fino a farle splendere di un bianco abbacinante. Le lenzuola quelle di una volta, di cotone grosso. Io c’ho provato una volta, mi sono gelata fino alla punta delle dita dei piedi, e non ho mai capito come facesse lei a star lì a ore intere, chiacchierando con le altre donne e rinvoltando lenzuola come fossero piume. Prima si insaponavano, poi si sciacquavano tante e tante volte. Mi ricordo benissimo quando le torcevamo, io da una parte e lei dall’altra, per tirar fuori l’acqua e far sì che pesassero meno, nel portarle a stendere a casa. Lei, con la presa sicura e le mani forti, io che traballavo per star dietro alla torsione e quasi me le facevo scappare di mano.

Me la ricordo, in casa con il padre anziano, che accudiva nel suo modo spiccio ma senza fargli mancare nulla.

Mi ricordo i momenti con Sciampio che gli agitava contro il bastone, che schivava con agilità e rassegnazione senza neanche una punta di acredine.

Mi ricordo le sue scorribande in giro in vacanza, quando felice come una pasqua poteva partire con le sue amiche (mio zio non l’accompagnava mai, era “allergico al mare”) per andare non importa dove, l’importante era salire sul pullman e scoprire una destinazione diversa.

“che ci vuole”? era una delle sue espressioni. Una donna che rendeva semplice ogni cosa che faceva, perché non si faceva problemi di nulla. Quella che aveva sempre i barattoli per fare la marmellata, conservati in garage.

Che si rammaricava a volte di non avere avuta una figlia femmina (e mi coccolava per questo) ma non avrebbe scambiato i suoi figli un po’ scavezzacolli per nulla al mondo.

Quella che ci portava fuori anche quando volevamo solo stare a casa, perché aveva l’argento vivo addosso e in casa ci stava malvolentieri.

Lei, sorella di mia madre anche se sorella non era.

Quella che in tempi più recenti mi ha accompagnato a cercare i marroni, è inciampata e caduta, e ha continuato come se nulla fosse per non rovinare la gita, ma poi aveva la spalla lussata.

La donna che ha insegnato a tutta una generazione di donne a giocare a pinella (anche Agnese ha imparato da lei): la passione delle carte, presa quando mio zio non usciva quasi più e aveva conservato questo come unico hobby, è rimasta il suo sfogo anche quando lui non c’era più (o forse proprio perché lui non c’era più).

I ricordi sono anche quelli di poche settimane fa, con il viso liscio nonostante i tanti anni, lo sguardo un po’ perso, immersa in un passato che lei sentiva vicinissimo, ricongiungendo in un cerchio la sua vita ormai agli sgoccioli.

Ciao cara zia.  Sei volata via da un corpo che non poteva più andare avanti, ma io ti porto con me e per me ci sarai sempre, come tutti quelli che ti hanno preceduta in questo passaggio: Ida, Bruno, Sciampio, Angelica, Enzo….