Rarità

“Chiamami con il mio nome”. Sono stata intervistata da LA7D Salute.

Qui di seguito quello che ho raccontato in questa occasione, e le premesse che sono state aggiunte in fase di montaggio.

In una società basata sul Logos (parola) ciò che non viene nominato si vede meno. Noi esseri umani percepiamo meglio ciò che raccontiamo, perchè quando nomino diventa narrazione.

Nominare le cose serve per renderle visibili. Ma bisogna anche nominarle “bene”. Non bisogna pensare ai nomi come “cartellini” che durano per sempre.

Rarità è una delle tante parole polisemiche (tanti significati diversi a seconda del contesto). La convivenza delle differenze implica che le persone possano vedere la rarità come qualcosa che è altra forma che assume l’essere umano.

Raro era qualcosa di esotico, che non si sapeva cosa fosse. Dopo la nascita di Davide “raro” è diventata la malattia rara che non si conosce, che rende quasi unici. Scoprire di avere un figlio con una malattia rara è qualcosa che dà senso di smarrimento, di isolamento, e anche di sorpresa: non ci si aspetta che il figlio che avevamo pensato perfetto possa avere qualcosa di men che perfetto. Ma a parte il momento iniziale, abbiamo imparato a capire come Davide sia Davide, sia la persona che è a prescindere dalla sua patologia, e conseguentemente cercare di costruire una vita che fosse adeguata alle sue capacità. Ciascuno di noi ha un potenziale che deve poter esprimere al meglio, e questo potenziale deve essere facilitato. Il compito di un genitore è facilitare l’espressione di un potenziale che ciascun figlio ha. Quando è nato Davide una delle prime cose che abbiamo fatto è stata quella di cercare altri genitori che avessero la nostra stessa esperienza con la patologia. Ci siamo quindi avvicinati all’Associazione specifica che tutelava le persone con la sindrome di Davide e di dà lì è iniziato un percorso coinvolgimento attivo della nostra famiglia all’interno dell’Associazione. Nel corso del tempo quel coinvolgimento, che ha fatto sì che ci sentissimo meno soli, ma anche che potessimo dare il nostro supporto alle famiglie che venivano diagnosticate dopo di noi, è diventato un impegno sempre più forte, fino a che io non ho sentito la necessità di fare ancora un passo ulteriore, perché una malattia rara da sola non riesce ad ottenere diritti, né a facilitare strade più di tanto. E quindi la scelta di entrare in Uniamo è stata abbastanza naturale. La Federazione ha rappresentato un punto di arrivo rispetto ad un mio percorso all’interno di un Associazionismo, e la possibilità di fare quel gradino successivo per le persone che oggi si trovano ad impattare con una malattia rara. Ciascuno di noi deve fare un pezzettino di questa strada, siamo #rarimaisoli, ma amai soli perché ciascuno di noi mette del suo per riuscire a raggiungere traguardi sempre più alti.

Davide mi insegna intanto che si può guardare negli occhi una persona e capire come sta. Mi insegna che non c’è nessun problema insormontabile, perché lui riesce a trasformare qualsiasi cosa in un ” Vabbé, mamma, in qualche modo andiamo avanti”.

Si dovrebbe imparare a non dare per scontate le persone. Si dovrebbe ricostruire il noi: come si fa? Quale parola si può recuperare nella nostra società?

Riuscire, ciascuno, ad essere empatico con l’altro a prescindere da tutte quelle che sono caratteristiche fisiche o mentali o psichiche. Quindi riuscire a vedere la persona per il positivo che ha, invece che per il negativo o per il limite.