Vita ai tempi del CoViD-19

Nonostante la stanchezza che questi giorni si portano dietro, credo che sia importante fermarsi ogni tanto a riflettere e fare un po’ di somme di quello che si osserva.

Alcuni pensieri in libertà, così come mi vengono:

  • le code per la spesa. Siamo tutti diligentemente in fila, rispettando le distanze. Non si parla, qualcuno ogni tanto fa o riceve una telefonata, qualche chiacchiera fra chi si conosce già, ma generalmente è il silenzio che regna nella serpentina che si dipana fra i nastri bianchi e rossi. In condizioni normali, ci sarebbe stato chiacchiericcio, sovrapposizione, imprecazioni e qualche tentativo di saltarla, la coda. Oltre che un generale malcontento verso coloro che a nostro parere la stavano tirando troppo lunga nel farci entrare.
  • all’interno delle code della spesa: quelli che hanno il carrello e quelli che hanno la busta. E no, non è solo perché vanno a fare la spesa più volte alla settimana. Magari è perché non hanno i soldi per farla, una spesa grande tutta insieme. E allora comprano quello che possono, quando possono.
  • la mancanza del rumore. Per le strade, nei giardini. Dalle finestre. E’ venuto meno il sottofondo principale che, inconsciamente, riempie le nostre orecchie: quello delle macchine, lo scorrere incessante di ruote, il rombo più o meno percepibile dei motori, lo smog che esce dai tubi di scappamento. Ascoltiamo questa mancanza di “un” suono, riscopriamo il frusciare delle foglie, il ticchettio dei passi, gli uccellini che cinguettano, le voci delle persone, quando ci sono.
  • quelli che imprecano. Che ce l’hanno con tutto e tutti: contro gli anziani che vanno a comprare il pane, i meno anziani che corrono, le mamme con i bambini, il governo, quelli che stanno in casa, quelli che hanno gli animali, quelli che respirano…. hanno sempre un motivo per essere scontenti, per alzare la voce, per pubblicare un post. Poverini. Non riescono a vedere le opportunità, a cogliere il bello. Lasciamoli macerare nel loro angolino di risentimento e rancore.
  • quelli che si danno da fare. E anche in questa occasione trovano il modo di inventarsi qualcosa: un servizio di volontariato, l’organizzazione di qualcosa, o semplicemente fanno il loro lavoro con ancora più impegno di prima, consci che solo così ne usciremo in qualche modo.
  • i complottisti. Ci sono ovviamente trame mondiali che hanno orchestrato tutto questo e ci stanno manovrando come burattini.
  • i bambini. Che non corrono più, non giocano più, perlomeno fuori, all’aperto, nei giardini. Ma che sono i grandi dimenticati di questo virus, quelli su cui nessuno (a parte i genitori che devono inventarsene di tutti i colori per stare con loro, per fargli passare il tempo, per riempire le loro giornate così vuote di tutto). I bambini, che se solo potessero uscire riscoprirebbero quello che gli “anziani” come me hanno sempre saputo: che non occorrono videogiochi, televisione, ipad o altri aggeggi elettronici per trovare il modo di giocare, bastano un pezzettino di prato, un pallone, una corda, un gessetto, un po’ di erba per servire un pranzo. E forse potremmo lasciargli  un po’ di tempo anche per annoiarsi, pensare, sognare.
  • l’onnipresente internet. E’ diventato, se possibile, ancora più pervasivo. Siamo perennemente collegati, con la scusa che è il nostro unico contatto con il mondo. Nel mondo di internet tutti si danno un gran daffare, dovendo dimostrare di essere molto molto impegnati. Gli whatsapp si sprecano, i gruppi si scambiano tutti le stesse informazioni, gli stessi documenti, le stesse foto e gli stessi filmati. Ognuno sgomita per il suo momento di gloria e celebrità, corre per essere il primo a postare, twittare, linkare e whatsappare. E la nostra lingua muore su questi termini.
  • i delatori. Quelli che chiamano carabinieri e polizia se vedono tre persone insieme o qualcosa che a loro parere non risponde ai dettami di legge.
  • quelli che, in silenzio, stanno facendo i conti: con l’affitto, le bollette, la saracinesca abbassata o il lavoro che non c’è più (in proprio, per la ditta, la differenza la fa la cassa integrazione). E non ci dormono la notte, per farli tornare.
  • le persone con disabilità mentale. Che son lì a inventarsi un tempo e a volte non ce la fanno proprio, facendo impazzire anche chi li accudisce tutti i giorni, 24 ore al giorno. Senza più sollievo, senza centri diurni, senza terapie, senza operatori, senza niente. Vite che si consumano e consumano.
  • quelli che hanno bisogno di cure e assistenza, e non hanno più né cure né assistenza. Con la paura raddoppiata, dalla malattia e dal virus.
  • le persone sole, che se prima erano sole ora lo sono di più. Se muori da solo chissà quando se ne accorgono, gli altri…
  • quelli che muoiono. Sarebbero morti lo stesso, certo. Ma a quello che ho capito non è proprio una bella morte, questa qui, specie se ci dimentichiamo della sedazione profonda e lasciamo che le persone soffochino. Non voglio pensare che sia vero.
  • gli irriducibili ottimisti, che vedono nel corona virus un’opportunità per cambiare le cose, possibilmente in meglio.

Abbiamo ancora parecchi giorni per riflettere; per leggere; per rivedere tutte le saghe che ci hanno affascinato in questi anni; per fare quelle cose che…. non ho mai il tempo.

Diamocelo, il tempo. Cogliamola, questa occasione. Quando ci ricapita più?