Ciao Sofia.

I segnali c’erano tutti. Guido sparito dalla circolazione, medici specialisti in cure palliative apparsi all’orizzonte per affiancare il cammino di una famiglia provata e totalmente dedicata ad un accudimento in ogni singolo istante della giornata.

E una mattina ti svegli, accendi il computer e le frasi sono lì, nero su bianco, su quella pagina Facebook che ha visto notizie di feste, incontri, lotte: “Ieri sera la nostra piccola straordinaria bambolina Sofia è volata in cielo direttamente dalle braccia di mamma e babbo. Ora per lei non esiste più dolore, c’è solo l’amore“. 

Sofia, che non ho mai avuto modo di vedere perchè la sua condizione non le permetteva di avere contatti con l’esterno che non fossero i minimi indispensabili, per evitare di prendere raffreddori, virus, tosse, influenze. Sofia che nei brevi anni della sua vita ha potuto solo peggiorare le sue condizioni fisiche, imprigionata in una malattia che si chiama leucodistrofia metacromatica, una delle tante malattie rare, una delle più tremende.

Ho conosciuto Guido in occasione di una Giornata delle Malattie Rare, qualche anno fa. Ne avevo sentito parlare qualche tempo prima, quando il caso di Sofia era assurto agli onori di cronaca. Un ragazzo rivoltato come un calzino dall’immersione in una realtà che mai avrebbe potuto prevedere. Emotivamente provato, ma caparbio da un lato nella ricerca di una possibilità di cura e dall’altro nel dare scossoni alle istituzioni che in questi casi sono non solo impotenti, ma spesso insensibili di fronte a tanta sofferenza e bisogno.

Guido ha sovrapposto la sua vita a quella di Sofia. Ha creato un’associazione pensando di dover fare qualcosa, di dare un punto di appoggio a tutte quelle famiglie che come lui si trovano ad affrontare lo stesso dramma, la stessa indicibile diagnosi che non lascia speranza. Sofia è diventata un simbolo. Simbolo di chi non si arrende, di chi non si accontenta di risposte semplicistiche, ammesso e non concesso che risposte vengano date.

La situazione di bisogno estremo di Sofia ha dato modo a Guido e Caterina di sperimentare nella loro vita l’insufficienza totale della risposta del pubblico in questi casi. La loro possibilità di far fronte a tutta una serie di necessità è stata di stimolo ulteriore per chiedersi “ma per quelli che non possono, cosa succede?”. Non lo sapevano, ma è la stessa domanda che tutti i fondatori di Associazioni, specialmente di malattie rare, si fanno quando iniziano un percorso di questo genere. “Non voglio che chi viene dopo debba affrontare questa cosa senza nessuna informazione, senza poter partire almeno da una base, senza un supporto che lo faccia sentire meno solo”.

E allora Voa Voa è diventata un faro di speranza, un punto di appoggio per tante famiglie, un luogo di riferimento. Guido, Caterina sempre in prima linea, per quanto la malattia di Sofia ha potuto permettere.

Non so pensare cosa voglia dire perdere un figlio. Vederlo spegnersi giorno dopo giorno, con sofferenza, affrontare questa cosa cercando di non immergersi nel pozzo nero e profondo della disperazione, gestirsi una vita sempre più complicata e dover comunque far fronte ad una quotidianità fatta di Sofia, ma anche di lavoro, amici, associazione e quant’altro. Tempo libero no, quello non è mai stato concesso. Il concetto di “tempo libero” penso fosse scandito solo dai momenti in cui Sofia stava leggermente meglio e si poteva non essere vigili e all’erta, alle prese con respiratori o terapie varie. I momenti in cui ci si poteva concedere di essere semplicemente un papà e una mamma in compagnia della loro bambina. Non credo siano stati molti.

Sofia non ha più un respiro in questo mondo. Ma Sofia esiste ed esisterà fino a quando la sua memoria sarà viva nei suoi genitori, nei suoi parenti, nei suoi amici, nella sua Associazione. Si è liberata di un guscio che la teneva stretta, costretta e sofferente. Adesso può volare come la farfalla simbolo di Voa Voa.

A noi lascia la consapevolezza di dover lavorare per poter costruire un mondo migliore, che possa dare risposte anche dove sembrano non esserci più speranze. Un mondo che non chiuda gli occhi, che non alzi le spalle con rassegnazione, ma che si metta al fianco di chi soffre per cercare insieme come supportare, aiutare e accompagnare.

Ciao Sofia.